Una villa fiorentina
Casa per Anala e Armando Planchart a Caracas
Gio Ponti, nello Studlo Ponti Fornaroli Rosselli
Questa costruzione è dedicata ad Anala e Armando Planchart. Essa sorge a Caracas, sulla cima di un cerro (una collina) che sovrasta le alture dalle quali si vede, in meravigliosa infilata, la città (Caracas s'allunga in una valle che corre fra le pendici più alte della catena dell'Avila, da un lato, e questi colli più dolci, dall'altro). Paolo Gasparini ha lavorato non solo da espertissimo fotografo quale egli è, in questo difficile campo delle fotografie d'architettura, ma anche da conoscitore dell'architettura (senza di che non la si fotografa). Egli ha fotograficamente reso nel miglior modo possibile questo complesso difficilissimo da riprodurre, perchè qui ogni spazio si apre per più lati sull'altro, determinando una serie di mutevoli spettacoli architettonici, composti e integrati gli uni con gli altri, con vedute incrociate, attraversanti, d'infilata, e dall'alto in basso e viceversa; e con dislivelli e trasparenze, componendo piani e spazi in un gioco senza intermittenze, dove sempre nuove prospettive appaiono e si inquadrano col muoversi del visitatore.
Debbo dire che questo è stato un compito estremamente piacevole, perchè la richiesta è stata sempre intelligente, chiara, discreta, fatta con confidente amicizia dalle impareggiabili persone alle quali ho dedicato questo lavoro. Dice Vitruvio che dell'architettura il committente è il padre, l'architetto la madre. I committenti di Caracas sono stati genitori esemplari, e non tanto per la grande liberalità di mezzi che han voluto dedicare alla loro villa, quanto per la simpatia umana, la discrezione rara, la comprensione e la fiducia con la quale hanno accompagnato il lavoro dell'architetto, moltiplicano do il suo impegno.
Il committente - dice il mio amico Rogers - è colui senza il quale non si può fare architettura, e con il quale nemmeno
Nessuna pregiudiziale che non fosse la mia più assoluta e libera espressione personale, e una adesione a principi ed esperienze esclusivamente moderni, è esistita in me di fronte a questo lavoro: nessuna. In esso mi è stato consentito di effettuare in pieno questa desiderata espressione: di seguire quei principi - della espressione del "muro portato", della architettura 'autoilluminata', e via via - cioè quei 'pensieri' che costituiscono il mio credo nella architettura moderna; fuori e al di là di ogni pregiudizio espressivo 'nazionale' o ambientale.